18 Mar “Attraverso l’arte è possibile continuare a guardare la Bellezza con la B maiuscola” – Intervista a Nadia Righi, Direttrice del Museo Diocesano di Milano
Come nasce e come si costruisce oggi una mostra? Qual’è il processo che porta a decidere una mostra?
La risposta non è semplice. In genere si ragiona su una programmazione a lungo termine, coerente con l’identità del museo. Nel caso del Museo Diocesano tentiamo di costruire un progetto culturale che solleciti la riflessione sui tempi liturgici forti, almeno durante l’anno scolastico.
Dunque pensiamo a progetti che alla fine dell’anno solare mettano a tema il Mistero dell’incarnazione e poi, in Quaresima, la Passione e la Resurrezione. D’estate, quando il nostro pubblico cambia, e apriamo il chiostro anche alla sera, attirando un pubblico diverso, proponiamo progetti di fotografia che però aiutino a fissare lo sguardo sulla realtà, e sulle domande che pone il reale.
A partire da queste linee guida, si ragiona di volta in volta, al nostro interno ma anche coinvolgendo interlocutori esterni. La collaborazione con altre istituzioni ci ha portato nel tempo a fruttuose collaborazioni e a relazioni davvero interessanti.
Ad esempio, con i Musei Vaticani abbiamo cominciato una collaborazione un paio d’anni fa e ora abbiamo in essere un progetto che dovrebbe svilupparsi nei prossimi anni.E’importante, nella programmazione, non dimenticare ciò che si intende comunicare al pubblico.
Una volta messo a fuoco il tema, si lavora nello specifico sui singoli progetti, scegliendo le opere, lavorando al catalogo, al progetto di allestimento e ai testi di sala oltre che, naturalmente, alla comunicazione. Infine, alla formazione delle guide.
E’ cambiato negli ultimi anni il modo di vivere un museo?
Credo proprio di si. Intanto mi pare che si sia allargato il pubblico. A Milano in particolare, sentiamo i benefici del dopo expo: non solo in città ci sono più turisti, attartti non più solo dagli affari o dalla moda ma anche dalla cutura e dalle bellezze artistiche; ma anche i milanesi stanno frequentando musei e mostre con frequenza maggiore.
Il pubblico è oggi attirato più dagli eventi espositivi che non dalle collezioni permanenti: dunque occorre essere creativi, trovare continuamente spunti diversi che mischino anche diverse categorie di pubblcio. E poi, i visitatori sono sempre più esigenti e critici.
Mi pare anche che, in molti, ci sia il desiderio di tornare più volte nello stesso posto, non solo per vedereil museo o le mostre ma anche per gli evetni, le conferenze, i corsi… come se il museo diventasse sempre di più un centro di aggregazione culturale e un luogo di incontro. Questo, per noi, è una grande sollecitazione a non abbassare mai la qualità delle proposte.
Parliamo dell’ultima mostra “Gauguin Matisse Chagall, La passione nell’arte francese dai musei vaticani” affronta un tema decisamente impegnativo, soprattutto per l’utente contemporaneo, ce ne vuoi parlare? Come è nata la mostra?
Due anni fa abbiamo collaborato con i Musei Vaticani, chiedendo loro di prestarci la bellissima Via crucis di Previati da esporre insieme alla Via al calvario entrata da poco nelle nostre collezioni. Dalla bellezza di quella esperienza, che ha permesso di approfondire il tema della Passione a tutto il nostro pubblico (ragazzi, bambini, gruppi parrocchiali, visitatori individuali….ogni volta con linguaggi diversi), abbiamo cntinuato a dialogare con i Vaticani ed è nata l’idea di proseguire con proposte altrettanto forti.
La mostra di quest’anno permette una lettura su più livelli. Da una parte il tema iconografico, tematico: si entra nella passione di Gesù cominciando da Maria, dal suo si che ha salvato il mondo, e poi, attraverso le immagini di Cristo crocifisso, la via crucis, le deposizioni…si arriva alla resurrezione, messa in relazione con la Mano di Dio che crea l’uomo.
Si vuole così sottolineare, con decisione, che l’ultima parola sulla Passione non è la morte ma, coe ci ha ricordato papa Francesco, è una parola che solo Dio può pronunciare ed è la parola Resurrezione. Ed è la Resurrezione che dà senso alla pasione di CRisto e nello stesso tempo trasfigura tutta la storia dell’uomo. Per questo la Mano di Dio di Rodin (quella appunto, che ci ricorda la creazione dell’uomo) è visibile al visitatore sin dall’inizio della mostra.
Il secondo livello di lettura permette invece di approfondire ciò che succede nell’arte a cavallo tra Ottocento e Novecento. Gli artisti, conla nascita delle nuove avanguardie, si chiedono cosa voglia dire fare arte sacra, dato che l’arte sacra appare, per sua natura inscindibilmente legata alla figurazione e dunque alla traduizione, che le avanguardie tendono a rifiutare. Da qui, un dibattito molto intenso.
Ed è interessante vedere come non sia affatto vero che nell’Ottocento e nel Ovecento il tema del sacro diventi marginale per gli artisit: anzi, diventa essenziale, esistenziale: è proprio li, su ciò che realmente tocca il cuore dell’uomo, che molti artisti osano sperimentare, mettendosi realmente a nuovo e confrontandosi con il senso della Passione in particolare. Non a caso, negli anni delle guerre e nell’olocausto, Cristo diventa simbolo della passione a cui tutto il mondo è sottoposto. Cristo nello stesso tempo appare però come la possibiltà di speranza davanti agli orrori della guerra.
Mi rendo conto che è un tema forte: ma proprio per questo interessa ciascuno di noi. Come i grandi artisti non hanno potuto esimersi dal confrontarsi con il crocifisso, anche noi, indipendentemente dalla nostra fede e dal nostro credo, siamo spinti a farci domande profonde.
Stiamo vivendo un periodo molto particolare (coronavirus), un museo importante come il Diocesano di Milano che vive della presenza dei visitatori come può inventarsi nuovi modi di raggiungere il suo pubblico? Come vi state muovendo? Che valore aggiunto può portare oggi l’arte nella quotidianità di ognuno?
Sicuramente il periodo che stiamo vivendo porta grande disorientamento e grandi difficoltà. Noi abbiamo dovuto chiudere, confesso, con grande dolore. Ora, da casa, mi sto interrogando ancora di più: cosa possiamo dire al nostro pubblico, ora che non abbiamo la possibilità di parlare attraverso le opere d’arte, le visite guidate…
Così stiamo tentando, come olti altri musei,di “fare compagnia” ai nostri visitatori, con gli strumenti che le nuove tecnilogie e i nuovi canali di comunicazione ci offrono. Ogni giorno, sui social, cerchiamo di entrare nelle case dei nostri visitatori, per raccontare la vita del museo dietrto le quinte (la programazione, il lavoro sulla grafica, persino le pulizie delle opere e i depositi). Oppure postiamo dei piccoli video, girati quando ancora era possibile andare in museo, in cui spieghiamo un’opera della mostra alla volta, o raccontiamo qualche sezione meno nota del museo… oppure mettiamo dei brevi testi e delle immagini di opere della collezione. O ancora, facciamo parlare chi di solito tiene i corsi di storia dell’arte…
E’solo un piccolo tentativo… per ricordare che è, attraverso l’arte – bellezza con la b minuscola – è possibile continuare a guardare la Bellezza con la B maiuscola. Quale Bellezza salverà il mondo? Ci diceva il cardinal Martini citando Dostoevskij. Questa è davvero la domanda più interessante.
Nadia Righi.
Laureata in Storia medievale e moderna, è Direttrice del Museo Diocesano di Milano.