29 Mag Dalla sartorialità del prodotto a quella del servizio
Il caso Finisterrae
Customer experience & satisfaction è forse l’espressione più abusata quando si parla del rapporto tra produttore e consumatore: il modo in cui il cliente percepisce l’interazione con l’azienda è articolato e mai identico a se stesso. Se n’è parlato davanti a un boccale con Gilberta Vita, tatuatrice e arredatrice, con cui abbiamo lavorato per la realizzazione della birreria Finisterrae.
Partiamo da un punto che mi ha incuriosito: addirittura un arredatore per una birreria così piccola? Come mai? Non dovrebbe essere prerogativa di catene e franchising?
Gilberta – Se vuoi partire bene, col piede giusto, è indispensabile affidarsi a professionisti del settore, non puoi improvvisare. Per chi apre un’attività commerciale in proprio spesso questo viene percepito come un costo inutile, un problema. Ma a ben guardare è il contrario, ci sono talmente tanti aspetti da considerare – documenti, certificazioni, licenze, ecc. – che in genere l’imprenditore non ha il tempo di seguire da vicino anche quelli estetici e burocratici. Ma un negozio è come un piccolo cantiere e sappiamo bene cosa significa oggi la buona gestione di un cantiere. Quindi, sì, conviene anche a livello economico.
Parlando del Finisterrae, com’è nato il progetto?
Gilberta – «Nel mio locale chi entra non è un cliente ma un’ospite». Sono partita da questa suggestione di Seba (il proprietario ndr.). L’ospite è accolto e si sente a suo agio ma allo stesso tempo non può fare ciò che vuole, non è casa sua, semmai è a casa di un amico. I protagonisti sono due, l’ospite e la birra! Non abbiamo cominciato dall’idea astratta del pub o del locale e del suo “stile” ma dall’esperienza di chi entra.
La birreria è divisa in tre zone: il bancone è impostato per poter parlare col mastro birraio; la zona tavoli e il salottino che dà sulla cucina a vista, comodo e accogliente ma la cui conformazione non porta a “stravaccarsi”. Poi ci sono i bagni, un luogo dark, un horror room dal carattere volutamente ironico ispirato a San Bernardino alle Ossa.
Se decidi di lavorare sul recupero di oggetti esistenti ti guardi attorno, cerchi qualcosa che ti ispiri, quando lo trovi parti da lì e tutto gli ruota attorno, costruisci il tuo progetto su quell’ispirazione. Nel nostro caso è stato il bancone delle birre, un elemento centrale, dunque, ma poteva anche essere un tavolino o una poltrona, l’importante è che il progetto sia coerente.
A proposito di questo recupero e della collaborazione con Studio Cromo, com’è andata?
Gilberta – Molto bene, ci siamo subito trovati sulla stessa linea d’onda di apertura e disponibilità ad ascoltare, a trovare metodi e soluzioni oltre che una grande professionalità.
Gabriele – Oggi non si parte più da un progetto chiuso da realizzare ma da una suggestione, dall’esperienza che fai cercando e trovando gli oggetti. Solo allora parti a progettare per dar sì che il frutto della tua ricerca possa prendere forma reale, sempre più definita e funzionale. Occorre avere una grande libertà mentale per lasciarsi suggerire il cammino da intraprendere. Gilberta ha trovato questo bancone industriale a Torino su internet, ne abbiamo parlato e siamo andati a prenderlo assieme, poi, partendo da quello abbiamo cercato altri complementi girando per mercatini. È importante farlo assieme per discutere man mano fattibilità e impatto. È stato divertente.
Credo si possa dire che siamo passati dal prodotto realizzato su misura al servizio su misura: lavoriamo con l’arredatore, lo scenografo o il designer allo stesso modo. Pensiamo alla nascita di figure come il personal shopper o il personal trainer, lavori che si basano sulla flessibilità e la competenza del servizio.
Gilberta – Occorre tirar fuori il meglio da quello che già c’è, immaginarlo in un altro contesto e se necessario modificarlo. Gli oggetti portano con sé un loro vissuto, una loro storia e una loro energia. Questa va colta e rispettata.
Gabriele – Il banco da lavoro è stato segato in due metà per ottenere un bancone da pub più stretto e lungo ed è stata ricostruita tutta la parte retrostante. Abbiamo preferito utilizzare le stesse tecniche costruttive della parte originale, con scassi e incastri al posto di colla e viti. Anche l’invecchiamento delle parti nuove è stato molto discreto – qui entra in gioco anche una certa abilità artigianale – per cui solo un occhio molto esperto potrebbe distinguere il vecchio dal nuovo. E poi ci sono aspetti tecnici delicati: la birra è al centro – si diceva – quindi le spine non sono a banco ma a muro, così come le valvole che rimangono a vista.
Molti, anche del settore, non sarebbero d’accordo…
Gabriele – È una scelta legittima e come tutte le scelte che hanno un contenuto può essere discussa ma alla fine il nostro compito è realizzare al meglio l’intenzione del cliente, darle forma nel modo più convincente ed efficace possibile. In questo caso si sono dovute studiare soluzioni apposite, su misura, come per la spillatrice rivestita in cuoio: abbiamo tenuto a mollo un campione di materiale nella birra per alcuni giorni per verificarne la tenuta. O la modifica delle persiane per farne delle porte interne… sono lavori rognosi, complicati, in cui rischi di buttare tutto il materiale originale. Il risultato però è originale, tra l’industrial e il vintage, con richiami steampunk e metal, un po’ design chic e un po’ mano della nonna… insomma, il luogo giusto per gustare ottime birre artigianali.