23 Mar L’arte è fondamentale, (…) ma lo si capisce sempre troppo tardi… Intervista a Guido Buganza pittore, scenografo e incisore.
Scenografo e artista, due mondi apparentemente simili ma molto diversi tra loro… in te quale prevale di più? Quale influisce di più sull’altro? E in ultimo quale preferisci?
Due mondi in passato codipendenti, se parlassimo solo di pittura. oggi invece è molto più probabile che la scenografia sia molto più legata al mondo dell’istallazione, molte scene sono infatti vere e proprie istallazioni, i materiali e impostazioni tecniche sono simili, per non parlare dei rimandi morfologici. non per niente i laboratori scenografici lavorano per entrambi i settori.
Quindi per quel che mi riguarda l’influenza è limitata, magari eco lontane ci sono, ma sono limitate.
Ovviamente non riesco a preferire l’uno o l’altro, quando lavoro su un progetto quest’ultimo è totalizzante…
E’ cambiato negli ultimi anni il modo di fare scenografie? Se si come?
Cambiato molto: molto meno budget in primis, e scelte artistiche completamente stravolte rispetto a solo 20 anni fa. Oggi prevale la “non scena“, l’istallazione come dicevo.
Quasi scomparsi i cambi scena da un atto all’altro, per esempio. Non necessariamente è un male, anzi non nascondo di preferire soluzioni ibride, più dinamiche scenicamente. Se in lirica ancora si trovano allestimenti di impostazione tradizionale (ma non sempre funzionano), in prosa è ormai impensabile.
Tutto il mondo della comunicazione è cambiato, e il teatro non fa eccezione.
Parliamo di Gianni Schicchi e Heure Espagnole… due spettacoli in uno, mi pare difficile pensare due scenografie diverse nello stesso tempo e nello stesso luogo, come ci sei riuscito? E com’è andata? C’è qualcosa di particolare che vuoi raccontarci di questo spettacolo?
Il dittico bresciano è stato una sfida non indifferente dal punto di vista tecnico, meno difficile sotto l’aspetto artistico.
La criticità risiedeva nella necessità di avere un cambio rapidissimo, quindi la soluzione migliore è stato la “matrioska” ovvero una scena che ne contenesse un’altra. Le differenze stilistiche non aiutavano, ma si è riusciti a far convivere alcuni elementi, senza che il pubblico se n’avvedesse.
Personalmente ho amato di più il Ravel, più affine al mio spirito, più intrigante dal punto di vista scenografico, anzi io avrei spinto ancor di più l’aspetto onirico e surreale dell’impianto.
Stiamo vivendo un periodo molto particolare (coronavirus), l’arte e il teatro rimangono dei beni preziosi anche adesso? come credi che l’arte e il teatro possano renderci la vita un po migliore in questo momento?
Il momento è drammatico, se non tragico, per tutti. ovviamente il settore culturale subisce ripercussioni gravissime, e temo per molto tempo a venire.
L’arte è fondamentale, (la reazione emotiva della gente in questo frangente parla chiaro: cantano alle finestre, una forma di esorcismo al limite dell’isteria, ma al contempo un nutrimento dell’anima) ma lo si capisce sempre troppo tardi… spero solo che la “rinascita” dopo la fase più buia sia non solo rapida, ma incentivata dalla consapevolezza della grande opportunità che si potrebbe presentare.
Bisogna che la classe dirigente prenda finalmente atto del fatto che la cultura, oltre ad educare, genera un indotto economico di primaria importanza, in Italia soprattutto. Ci vuole una classe politica colta, consapevole e non miope… speriamo.
Guido Buganza
pittore, scenografo e incisore.