12 Set Largo al factotum
Il Barbiere di Siviglia, capolavoro di Gioachino Rossi appena andato in scena a Lugano, nasce dalla coproduzione tra il LAC Lugano Arte Cultura, RSI radiotelevisione svizzera, LuganoInScena e LuganoMusica. Diretto dal Maestro Diego Fasolis, con la regia di Carmelo Rifici, le scene di Guido Buganza, i costumi di Margherita Baldoni e le luci di Alessandro Verazzi.
Particolare stupore hanno suscitato le scene disegnate da Buganza e realizzate in parte nei laboratori del Piccolo Teatro di Milano e in parte dallo Studio Cromo.
Ne abbiamo parlato con Tommaso Vergani, direttore tecnico di Studio Cromo.
Leggo sul vostro profilo: 1 km di led, più di 2 km di cavi elettrici, il tutto per 7 kw di potenza, 2 tonnellate di ferro, svariate macchine sceniche, tecnologie wirless e circa 6000 ore di lavoro… parrebbe un’esagerazione per uno spettacolo d’opera…
T – Eppure non lo è, qui la luce ha una grande importanza e la scena è decisamente ricca e articolata, c’è stato un grande lavoro di studio e progettazione per capire la fattibilità di ogni singolo elemento; inoltre alcune tecnologie usate sono sperimentali e abbiamo dovuto testarle prima in modo da non avere problemi durante lo spettacolo.
A proposito ci descrivi un po’ la scena?
T – Per tutta la durata dell’opera convivono due livelli: da un lato i fondali – realizzati nei laboratori del Piccolo Teatro di Milano – che richiamano alla tradizione iberica delle azelejos rimangono fissi tutto il tempo, al loro interno le scene sono scandite da elementi simbolici, direi astratti…strutture geometriche (strumenti musicali di grandi dimensioni, stanze, porte, passerelle, pedane e scale) composte da luci che si muovono, si compongono, volano in alcuni casi e che mettono l’azione in una dimensione universale e atemporale.
Dicevi che ci sono volute molte ore di lavoro, come mai?
T – Alcuni elementi scenici sono decisamente complessi non solo perchè si devono muovere, agganciare tra loro e trasformarsi con una certa fluidità, ma anche perchè sono carichi di elementi tecnologici delicati, molte luci sono a batteria autonoma e comandate a distanza sia per intensità che per cambio di colore.
Tutto questo ha richiesto uno studio lungo e attento, infatti all’abilità degli artigiani – carpentieri, falegnami e pittori hanno lavorato senza sosta per più di un mese – abbiamo unito una grande attenzione tecnica e tecnologica. La forza di queste scene penso sia proprio questa: l’ottima realizzazione artistica unita alla propensione tecnologica in cui nessuno dei due elementi prevale sull’altro ma si fondono accompagnandosi.
Qual è stato l’aspetto più difficile da affrontare?
T – Quando Guido Buganza ci ha mostrato i modellini di quello che voleva realizzare è stato subito evidente che avremmo dovuto tener conto di molteplici esigenze perchè alle problematiche artistiche si sommavano quelle strutturali, tecniche e logistiche…C’è stato un grande lavoro di squadra per rispondere a tutti i bisogni che ci ha portato a un dialogo stretto e costante non solo con lo scenografo ma anche con Alessandro Verazzi che ha curato le luci, Angelo Sala che ha supervisionato l’allestimento e con Giuditta Lombardi che ha svolto un attività immensa per coordinare il tutto. Credo che il punto più difficile, ma sarebbe più opportuno dire affascinante, è stato questa continua opera di sintesi tra arte, tecnologia, struttura, luci e logistica…insomma non un factotum…ma un team!